Appassionante conferenza del prof. Diego Beltrutti al Circolo Valdostano della Stampa

Beltrutti: “i perché del dolore e del suo controllo”

Annunciata sul Corriere del 21 gennaio, ha avuto luogo, martedì 26, la Serata di apertura dell’anno sociale 2010 del Circolo Valdostano della Stampa. Per iniziativa dalla sua presidente Maria Grazia Vacchina, che è stata tra i promotori del comitato valdostano della Lega Italiana Contro il Dolore (LICD) è stato affrontato il tema del dolore. Oratore della serata, svoltasi in atmosfera conviviale presso l’Hôtel Bus di Aosta, è stato il prof. Diego Beltrutti, presidente della LICD nazionale e prestigiosa figura di medico e scrittore, che ha trattato il tema “I perché del dolore e del suo controllo”.
L’affermazione che il controllo del dolore è un diritto del cittadino, così come era stato bene illustrato nel citato numero del nostro giornale, è oggi universalmente accettata, ma non è stata un’acquisizione facile: per anni, lo ha sottolineato il prof. Beltrutti, l’attenzione era rivolta esclusivamente al raggiungimento della guarigione, a colui che “vinceva” la sfida con la malattia, mentre a colui che “perdeva”, che restava “inguaribile”, non rimaneva che il dolore. Oggi, con le nuove acquisizioni scientifiche e grazie all’opera di medici sensibili, di fondazioni e associazioni di volontariato, il Parlamento ha legiferato, riconoscendo il diritto alle cure “palliative”, a quelle cure cioè che non sono direttamente finalizzate ad ottenere la guarigione (specie quando questa è impossibile) ma ad alleviare il dolore.

Il dolore: come si può controllare e alleviare
Questo è stato un po’ il contenuto tecnico della seconda parte del bellissimo intervento di Beltrutti, nella quale si è anche dilungato sulle modalità fisiologiche con cui si forma il dolore e sulle tecniche che si impiegano attualmente per combatterlo ed alleviarlo. Vi sono stimoli che partono, attraverso i nervi, da tutto l’organismo verso il cervello, che rimanda all’organismo risposte sensoriali o motorie per reagire agli stimoli dolorosi.
Vi è una via nervosa rapida ed una lenta (Beltrutti ha paragonato queste due vie ad un TGV e ad un treno locale, cosa afferrata benissimo, con qualche ilarità, in relazione alla ferrovia Aosta-Torino). Oggi le tecniche mediche consentono di “confondere” i messaggi dolorosi in arrivo al cervello, con un’azione paragonabile all’intasamento di una via di comunicazione.
Questa, in sintesi, la parte tecnica, illustrata in modo veramente dettagliato e coinvolgente, con la rara capacità di saper trasmettere al profano l’idea di quanto viene spiegato. Ma il dolore, per quanto curato, attenuato, combattuto non sarà mai  cancellato: dolore, sofferenza e morte saranno, prima o poi, una fatale compagnia dell’uomo.

Nei momenti più bui della sofferenza il più efficace antidolorifico è l’amore

E’ stata questa la parte del discorso più affascinante e, per certi versi veramente inaspettata, nello svolgimento della serata. Doveva essere la premessa al discorso tecnico, ma, rispondendo al perché del dolore e della sofferenza, il prof. Beltrutti ci ha regalato una meravigliosa riflessione sui perché e sul senso della vita, da riscoprire attraverso l’esperienza del dolore.
Oltre al nostro dolore personale, che possiamo avere o non avere ancora provato, di fronte a certe immani sofferenze non si può rimanere indifferenti e tacere. Il dolore ci interpella sempre. In effetti, ha sottolineato il prof. Beltrutti, il dolore è un problema complesso: ha certamente una dimensione clinica e biologica, ma ha anche una dimensione psicologica, sociale, giuridica, economica, storica, filosofica, spirituale. Il dolore non richiede solo l’intervento medico: ma ci porta spesso a pensare. Si aprono domande basilari per qualsiasi esistenza umana: chi sono? Qual è il senso della sofferenza? Cosa vuol dire morire? Esiste qualcosa dopo la morte o finisce tutto con essa? Le cose sono proprio così come appaiono? Chi decide cos’è bene e cos’è male?

La scienza non sa dare tutte le risposte
C’è stato un periodo in cui la scienza sembrava aver risolto ogni problema. Matematici, fisici, filosofi hanno sbandierato le bandiere del razionalismo, evoluzionismo, materialismo, tecnologia. Hanno decretato la morte di Dio. Certo, ha detto l’oratore, la scienza ha avuto i suoi trionfi: siamo andati sulla Luna, si è scisso l’atomo, sono stati debellati il vaiolo, la difterite, la tubercolosi, s è manipolato il DNA, ma molti interrogativi sono rimasti e già se ne affacciano di nuovi. Ci siamo anche resi conto che non sempre la scienza è amica e che il cosiddetto “progresso” ci sta presentando un conto salato da pagare: si chiama riscaldamento globale, inquinamento, disastro atomico, nuove malattie, alterazioni genetiche.
Non  è dalla scienza quindi che ci può venire la risposta al grande interrogativo che l’uomo si pone: perché si soffre? Citando il filosofo Nietzche, Beltrutti sottolinea come non la sofferenza in sé, ma l’assurdità del soffrire è stata considerata la vera maledizione per l’umanità. In effetti, l’uomo non vive per soffrire, ma per essere felice ed è spesso arrivato a considerare la sofferenza come una punizione, un castigo di Dio. Furono i Greci i primi a capire che la molla dell’agire umano è la ricerca della felicità e tale concetto è giunto fino a noi, anche se in modi spesso distorti.

I vari materialismi frantumano l’uomo La visione religiosa lo ricompone
Oggi infatti la ricerca della felicità è indirizzata talvolta verso cose futili o irreali. Si cerca il benessere, mentre il dolore e la sofferenza sembrano essere nemici dell’etica, sembrano il trionfo del male. “Eppure – ha esclamato Beltrutti – quante cose ho imparato vivendo accanto a gente che soffriva!”. Il rischio di risposte improprie viene da visioni che frantumano l’individuo, riducendo l’uomo a solo corpo o a solo spirito, solo lavoro, solo sesso, o solo materialità. Sono invece i religiosi che hanno cercato di mettere insieme tutti gli aspetti della vita umana (religo, in latino, significa legare) e questo riporta il discorso a Dio.  Che c’entra Dio in questo discorso?
La risposta di Diego Beltrutti, condotta attraverso un ragionamento “laico”, come impropriamente direbbe qualcuno, cioè non partendo da motivazioni religiose, ha trovato il più alto e più semplice esempio nel grido di Gesù sulla croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Nella tragica esperienza di Cristo – ha affermato Beltrutti – vediamo come il dolore e la sofferenza creino ansietà, senso di abbandono, solitudine, distanze. La separazione e la distanza create dal dolore non sono colmabili con una pillola, ma solo dall’amore. Dall’amore di un parente, di un amico, di un medico, di un infermiere, di uno sconosciuto.
Meraviglioso messaggio dato da chi, assieme ad altri, compie ogni sforzo per alleviare il dolore fisico degli ammalati: il dolore morale, la sopportazione della sofferenza, la  forza di andare avanti anche nei momenti più bui ha un solo, grande antidolorifico: l’amore.

Roberto De Vecchi